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Thursday, February 10, 2011

 
Kubrick + King terrore al quadrato
Trent'anni fa usciva Shining, versione cinematografica diretta da Stanley Kubrick dell'omonimo romanzo di Stephen King. Il rapporto tra i due, personalità forti e dominanti, non fu dei più sereni ma il risultato è comunque uno dei film horror più celebri della storia del cinema.

GQ - Febbraio 2011

“The Shining” (da noi “Shining”, senza l'articolo) di Stanley Kubrick uscì in mezzo mondo nel 1980, ma in Italia arrivò nei primi mesi del 1981.
Trent'anni fa.
Nel film Jack Nicholson interpreta la parte di Jack Torrance, un ex insegnante con velleità da scrittore che si fa assumere, insieme alla moglie Wendy (Shelley Duvall) e al figlio di 7 anni Danny (interpretato dall'esordiente Danny Lloyd, scomparso poi nell'anonimato), come custode di un lussuoso hotel nel Colorado che resta chiuso nel periodo invernale. Torrance viene a sapere dal responsabile dell'albergo di un terribile incidente accaduto sul posto diversi anni prima quando il custode di allora, tal Grady, risentendo probabilmente dell'isolamento e della solitudine, uccise le sue due figlie con un'ascia, sparò alla moglie e infine si fece saltare il cervello con un colpo di fucile. Ma a Torrence questo non disturba, anzi, la solitudine è ciò che cerca, potrebbe portargli quell'ispirazione necessaria per il suo nuovo romanzo, e poi a sua moglie piacciono un sacco i film horror - chissà che risate quando le racconterà questa storia. Torrance dice tutto questo sorridendo, ed è il primo di una lunga serie di sorrisi che, nel corso del film, diventeranno smorfie e poi ghigni satanici.
Il sorriso è il barometro facciale sul quale leggiamo lo stato della sua anima, che sarà sempre più risucchiata dal baratro delle forze oscure che infestano l'hotel. E quel sorriso ha il volto, il naso affilato, la bocca grande e le sopracciglia arcuate di Jack Nicholson. Kubrick ha voluto fortemente l'attore hollywoodiano un po' perché il film doveva fare soldi, dopo il mezzo fallimento commerciale del precedente Barry Lindon, un po' perché aveva bisogno di caratterizzare fortemente il personaggio fin dalle prime inquadrature, e per farlo c'era bisogno di quella faccia lì. Stephen King, ad esempio, avrebbe preferito il volto più normale da “everyday man” - si fa per dire - di Jon Voight.

Il maestro e il re del terrore

Come tutti i film di Kubrick anche Shining era tratto da un libro, e questa volta l'ispirazione era stata data da colui che, negli anni successivi, diventerà il “Re del Terrore”. The Shining (in Italia tradotto con “Una splendida festa di morte”) è il romanzo di King uscito nel 1978 dopo il successo di “Carrie lo sguardo di Satana”, anche questo reso celebre dal film di Brian De Palma. Il rapporto tra i due, personalità forti e dominanti, ovviamente non fu dei più sereni e a tal proposito c'è una lunga aneddotica: si racconta che Kubrick telefonasse allo scrittore americano nel bel mezzo della notte (il regista viveva a Londra) ponendogli domande a bruciapelo sulla propria fede e sulle proprie ossessioni.
“Kubrick non voleva fare una storia horror convenzionale” racconta Diane Johnson, la scrittrice che adattò insieme a lui il romanzo di King. “Lui era interessato al lato psicologico, desiderava capire l'origine della paura e del Male. Quando comprò i diritti della storia chiese sopratutto la possibilità di cambiarla drasticamente”.

Una macchina senza motore

Stephen King in effetti non fu molto soddisfatto del risultato finale e ha più volte dichiarato che “il film è come una bellissima macchina, ma senza motore”. Le differenze con il libro sono molte e non solo nella narrazione – la tormentata storia di Torrance quando era insegnante, i cespugli a forma di animale che si animano, il finale - quanto nell'approccio e nelle finalità. King guardava più al sovrannaturale, Kubrick invece si volle concentrare sopratutto sugli uomini.
Racconta Kubrick in una delle sue rare interviste concesse per la promozione del film “Leggendo il romanzo, ho avvertito in modo costante che King stava cercando di spiegare perché erano successe tutte quelle cose orribili, un metodo che credo sia sbagliato, perché la forza principale della storia risiede nella sua ambiguità”.
Proprio qui sta la chiave. L'ambiguità è il suo punto di forza. Il disagio nasce quando i conti non tornano, quando si avvertono incongruenze. Il vero orrore, inteso come emozione forte, sta proprio nel non spiegato, nel non sapere cosa sta succedendo, nell'avvenimento imprevisto. In effetti Kubrick non ha mai cercato la realtà nelle sue pellicole che per questo si possono analizzare più come opere d'arte che come semplici film. In Shining, in particolare, viene messo in discussione il concetto stesso di tempo cronologico che, a un certo punto, collassa.
Per far crescere questo senso di disagio, Kubrick gioca con i sensi dello spettatore. Lo fa con la musica attraverso il “Dies Irae” di derivazione gregoriana, con i silenzi e le dissonanze di Bela Bartok che diventano una sinfonia della paura umana; lo fa con la luce fredda del neon e con l'illuminazione delle cose, spesso contraria a come naturalmente dovrebbe essere. E infine lo fa con gli spazi sterminati, sia interni sia esterni, che inducono a una sensazione di smarrimento, di assenza di controllo (per non parlare poi del labirinto della scena finale).
In fondo Kubrick non gioca sul terreno facile dello stereotipo visivo del cinema horror: l'Overlook Hotel è un bell'albergo, non fa paura come il Bates Motel di Psycho o la casa di Amityville Horror. Alla fine nessuna visione sanguinolenta, nessun corpo in putrefazione è tanto spaventoso come il momento in cui Wendy getta un'occhiata al romanzo su cui Jack sta lavorando e scopre che si tratta di risme di carta su cui c'è scritta una sola frase, "Il mattino ha l'oro in bocca," ripetuta in infinite variazioni tipografiche. La vista della frase ripetuta senza fine è un autentico colpo da maestro, la perfetta rappresentazione della creatività frustrata che si trasforma in pazzia, e basta questo a spiegare il desiderio omicida senza dover ricorrere alla possessione di putride creature provenienti da un maligno gorgo temporale.

Ossessione Kubrick
Shining è un film che non dimostra i suoi trent'anni, e questo grazie anche alle tecniche di ripresa. Come direttore della fotografia Kubrick chiamò Garreth Brown, l'inventore della Steadycam, un'apparecchiatura che tramite un sistema pneumatico permette una perfetta stabilizzazione della macchina da presa senza uso di carrelli. Proprio per realizzare le veloci panoramiche richieste dal regista, Brown produsse un nuovo modello, che viene usato tuttora. Il risultato è ancora oggi straordinario: la macchina da presa si muove come un fantasma, sfrecciando e penetrando lo spazio dietro il triciclo di Danny, indietreggiando insieme alla spaventata Wendy, scivolando accanto a Torrance barcollante nei corridoi, e seguendo rapidamente la fuga nel labirinto innevato.
Kubrick è famoso per la sua ossessiva attenzione ad ogni dettaglio (controllava tutte le versione doppiate nelle lingue straniere e si complimentò personalmente con Giancarlo Giannini per la voce data a Nicholson) e, sopratutto, per il numero di ciak ripetuti per ogni singola scena, mediamente cinquanta.
Racconta John Baxter, biografo di Kubrick “Nei primi ciak, Nicholson fa un'interpretazione regolare, allora Kubrick dice 'bella, falla di nuovo'. E allora lui la recita in modo stravagante, e poi più stravagante ancora. Poi dopo circa dodici ciak inizia a trattenersi. E Kubrick continua a far ripetere. Così Jack comincia a stancarsi e si mette a fare cose pazzesche, fa le smorfie, ulula, grida. Le scene di pazzia di Jack Nicholson specialmente quella con l'ascia in mano sono solitamente quella del 27°, 29° ciak. Ma per ottenerle erano necessarie anche tutte le altre. Non si può dire a un attore, anche bravissimo, “Ciak uno. Ora sei pazzo”. Bisogna farcelo diventare”.

I tributi al film
La grandezza di un film la si misura anche con la capacità di influire sulla cultura pop. Le citazioni delle scene e i tributi a Shining sono tantissimi: dai video dei 30 seconds to Mars e Slipknot ai testi di Caparezza, dai Simpson ai film Pixar (in Toy Story la moquette dell'ingresso della casa del bambino cattivo Sid ha lo stesso motivo optical dei corridoi dell'Overlook Hotel).
“Con Shining Kubick ha appena ultimato il film horror definitivo, qualcosa che farà sembrare L'Esorcista una sorta di Gianni e Pinotto contro Belzebù” scrisse il New York Times all'uscita sugli schermi. Shining è un film ipnotico, non puoi smettere di guardarlo e riguardarlo: un horror epico, che sta agli altri horror così come 2001: Odissea nello Spazio sta agli altri film di fantascienza o Full Metal Jacket ai film sulla follia della guerra, guarda caso tutte opere di Kubrick.
Un capolavoro che non si dimentica.

Comments:
come vanzina sia passato da operatore di steadycam di kubrick a vacanze di natale resta il vero mistero
 
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