: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.
Gattini e quattrini
Aerei, fumetti e persino musical. Così Hello Kitty è diventata l'icona pop nel mondo del business.
Il Foglio - 19 marzo 2010
Un tempo c'erano gli UFO avvistati in cielo, poi vennero i cerchi sui campi di grano, i coccodrilli che vivevano nelle fogne di New York e una serie di altre bizzarre leggende metropolitane. Eventi misteriosi per i quali non si riusciva a dare delle spiegazioni plausibili o razionali. Oggi il loro posto è preso dai cosiddetti fenomeni della sottocultura pop: icone e personaggi che hanno un largo e incomprensibile seguito, ma che, a differenza dei fenomeni di allucinazioni collettive, macinano fatturati a nove zeri e sono gestiti da manager scaltri e abilissimi. Uno dei più popolari è sicuramente Hello Kitty.
Hello Kitty è una gattina disegnata nel 1974 da Yuko Shimizu per la Sanrio, una società giapponese che opera nel business dei “personaggi di fantasia” le cui creazioni, a differenza di Walt Disney o Marvel, non nascono per un fumetto o un film, bensì per essere raffigurate su prodotti e merchandising. Oggi la figura di Hello Kitty compare su circa 10.000 categorie merceologiche diverse, dai capi di abbigliamento agli articoli di cartoleria, ma anche hi-tech, prodotti di lusso, carte di credito platinum, linee aeree e perfino un ospedale. Un fenomeno ormai consolidato anche nel più disincantato occidente: dal 17 marzo il Teatro Olimpico di Roma ospiterà il primo musical sulla storia della gattina, una produzione italiana partita da Milano e che, dopo aver girato i teatri delle principali città della penisola, approderà a Londra. Il motivo del successo planetario di HK continua per molti ad essere un mistero. Se provate a liquidare in fretta il tutto, convinti che si tratti esclusivamente di un fenomeno per bambine, ecco, vi sbagliate di grosso. Sappiate infatti che un terzo degli acquirenti (e dei consumatori) di prodotti HK sono persone di età superiore ai 18 anni.
Rob Walker, giornalista del New York Times Magazine tenutario della rubrica “Consumed”, sul suo ultimo libro “Murketing – La rivoluzione del marketing ambiguo” (Etas) ha cercato di analizzare in profondità il fenomeno.
Sicuramente la gattina è adorabile e tenera -
checccarina è il commento spontaneo più ricorrente da parte di grandi e piccini - ma c'è qualcosa di più.
Indizio numero uno: Hello Kitty non ha la bocca. Alcuni dicono che sia un omaggio alla figlia sordomuta della boss Sanrio, altri che il disegnatore non era riuscito a disegnarla bene, decidendo quindi di non metterla affatto. Comunque l'assenza della bocca è un elemento importante che la rende ambiguamente inespressiva e neutra. HK non è un personaggio, non è impegnata in avventure memorabili come Snoopy o Topolino e non ha una particolare personalità. E proprio qui sta la forza del personaggio. Quelli della Sanro infatti fanno di tutto per evitare qualsiasi elemento per definire il personaggio. E' la sua sostanziale “inutilità” e assenza di carattere dominante a farne un simbolo desiderabile e “proiettabile”. Non rappresentando nulla, HK è in attesa di essere interpretata, e chiunque quindi può proiettarci quel che vuole: la nostalgia per l'infanzia, l'essere alla moda, una vaga sovversività. Un'icona vuota e quindi vincente, un archetipo simbolico di questi tempi confusi.
Al di là delle facile battute, il caso Hello Kitty segna un interessante sviluppo del mondo dei loghi il cui significato non solo si può costruire, ma può essere inventato anche dalle persone. Come analizza lo stesso Rob Walker “In sostanza un simbolo culturale di successo non viene quasi mai semplicemente imposto, ma viene creato e poi tacitamente accettato da coloro che decidono di condividerne il significato, dovunque esso abbia avuto origine.” Ecco che cos'è Hello Kitty: un simbolo (sotto?) culturale. E anche un brand di successo. Molto tenero.