: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.
CONTRO IL DESIGN7th floor - Aprile 2008
Star designer strapagate, il matrimonio con il mondo della moda, la mania delle “limited edition” e la perdita di progettualità. La “bolla design” rappresenta un campanello d’allarme per molti addetti ai lavori. Quali possono essere le vie d’uscita?
Quello che segue non vuole essere un j'accuse o, peggio ancora, una provocazione (parola che oggi ha perso del tutto il suo significato originale), bensì una semplice constatazione che contiene, al suo interno, un lieve campanello d'allarme.
L'impressione è che "design" sia diventata, da alcuni anni, la parolina chiave usata da certe aziende per farsi notare, la password per entrare nella testa dell'opinione pubblica o degli influencers. Quella che negli anni 80 era fashion e negli anni 90 internet, quel mondo in cui tutti volevano entrare senza capire bene come o perchè.
Il design come spettacolo, come vetrina e contesto ideale per mostrare e comunicare marchi, prodotti e iniziative di ogni tipo ad un pubblico creativo e ricettivo.
Sui giornali patinati o su certi comunicati stampa si nota sempre più un abuso della parola e del concetto "design", parola che oggi si porta bene un po' con tutto. Con la moda, ad esempio. Da qualche anno moda e design procedono a braccetto. Quelli che una volta si chiamavano stilisti - e che oggi, guarda caso, si definiscono designer - esaurita lo loro vena creativa, hanno capito che nel mondo design nascono cose nuove e davvero creative e tentano così di succhiarne la linfa vitale. Ecco che oggi ogni griffe ha la sua extension line nell'home decor, con collaborazioni di lusso con qualche designer di grido e durante le design week fanno a gara per ospitare all'interno dei loro atelier l'installazione più hype.
Il design, lo sappiamo, è un'altra cosa. E' progettazione, è disciplina che unisce etica ed estetica, forma e funzione. E' stile ma è anche una storia importante da raccontare e da racchiudere dentro un oggetto o un progetto.
Nelle pagine di questo giornale troverete esempi eccellenti, designer illuminati e progetti complessi e innovativi. Quella che si vuol qui considerare è la deriva di una parte del mondo design, quello più appariscente, quello formato dalle star designer, inflazionato dall'ego e della vanità, dalla creatività fine a se stessa: una sorta di bolla design che, ovviamente, mette in ombra ciò che di buono e innovativo si sta facendo in questo campo.
Il fatto è che dentro l'universo design girano molti euri. E che è sempre più frequente osservare come certo design sia legato strettamente al mondo del lusso.
Alcuni mesi fa il mensile inglese di design e architettura Icon ha lanciato un attacco frontale, intitolando il proprio editoriale "Why design needs a recession", denunciando con tono tipicamente british, diretto e leggermente ironico, perchè oggi il design ha bisogno di una fase di recessione per riconquistare l'ambito di disciplina progettuale che gli è proprio, eliminando tutta la "fuffa" che lo ha in parte degenerato. Una degenerazione del mercato che porta Vitra a fare una versione per bambini della sedia Panton o la catena Habitat che commercializza giochi per bambini VIP disegnati da Yves Saint Laurent, oppure Ross Lovergrove che ha realizzato due diffusori in alluminio alti due metri per la KEF venduti al prezzo di 100.000£. E poi le riviste di design e home decor, che nei mesi caldi pesano svariati chili, più dei magazine fashion durante le sfilate, a causa del sovraffollamento di inserzionisti delle pagine pubblicitarie o il gran numero dei prodotti in edizione limitata, spesso realizzati con materiali e con processi produttivi che non ne giustificano l'alto prezzo.
E' proprio questo il punto: sembra che molti designer, stimolati da aziende che usano il design come strumento per accrescere la propria visibilità, hanno smesso di concentrarsi su ciò che le persone potrebbe realmente aver bisogno. Il potenziale della disciplina del design come forma pura d'espressione o critica sociale, rimane solo appannaggio di una minoranza, mentre prevale un inutile esercizio di ricerca di novità fine a se stessa.
Secondo la redazione di Icon, questa deriva che rischia di far perdere dignità e prestigio al design potrebbe essere evitata "grazie a" una recessione.
Tale critica non arriva solo dall'esterno, ma anche da alcuni affermati designer come Jasper Morrison, tra i più critici verso questa spettacolarizzazione del design.
Dice Morrison "Il design sta diventando oggi una delle principali fonti d’inquinamento. Incoraggiato dalle riviste di lifestyle e dai reparti marketing, si è trasformato in una gara a realizzare oggetti e progetti sempre più appariscenti e sorprendenti. L'originale funzione del design, quella di servire l'industria e fare felice la massa dei consumatori proponendo oggetti più facili da costruire e che rendono la vita migliore, è ormai decaduta. Il design è oggi un virus. E le aziende che vogliono attirare l'attenzione su di sè rappresentano l'ideale terreno per diffondere la malattia". Ma la critica di Jasper Morrison, non si ferma qui. "Oggi la maggior parte del design si occupa di rendere le cose speciali. E quindi cerca di reinterpretare e sostituire le cose, anche quelle che apparentemente non ne avrebbero bisogno. Credo che ci siano modi migliori di operare, anche perché le cose speciali sono sempre meno utili rispetto a quelle normali e meno gratificanti nel lungo periodo. Le cose speciali generano una domanda per motivi sbagliati, interrompono potenzialmente una buona atmosfera con una presenza scomoda. Dobbiamo preservare la normalità!".
Senza giungere alle conclusioni trancianti di Icon e Morrison, c'è da rilevare che oggi il design deve inevitabilmente intraprendere una fase di cambiamento e di rivisitazione: dall'essere "progettazione a forte valenza estetica" (come da definizione di Gabriella Lojacono) ad assumere una connotazione più ampia, diventando espressione di un progetto culturale che le imprese più innovative hanno l'obiettivo di perseguire.
Lo scenario economico a livello internazionale sta profondamente mutando, e ciò impone un rapido aggiornamento delle tradizionali logiche competitive.
Il design dovrà attraversare - e, in parte, già lo fa - una fase di democratizzazione, superando i confini ristretti delle nicchie del lusso per diventare protagonista anche nei mercati di massa. In un processo industriale e produttivo sempre più internazionalizzato, la separazione spaziale tra i luoghi di ideazione e aree manufatturiere richiede il passaggio ad un design più integrato: ecco che il design avrà il compito di mixare insieme forme innovative, innovazione tecnologica e comunicazione commerciale.
Nel frattempo si sta anche evolvendo il mondo del consumo che si è fatto più autonomo, esigente e collaborativo: la funzione del design dovrà gradualmente abbandonare la sua dimensione autoriale e il suo approccio al prodotto come forma d'arte e lasciar posto ad un design che dialoga con i consumatori e che è capace di sintetizzare creativamente l'esperienza, la conoscenza e le testimonianze delle persone su nuove forme, bisogni e progetti.
Questo nuovo approccio ha ancora più senso se applicato all'Italia e al "Made in Italy". Verrebbe in questo modo a mutare anche la figura del designer, da creativo solitario, esteta, intransigente ed elitario a gestore di un processo di integrazione e di valorizzazione di conoscenze diverse, che ricopre un ruolo di sintesi tra tecnologia, comunicazione, ergonomia e significati.
Recessione o profonda democratizzazione? Necessario declino per poter poi riemergere o ricontestualizzazioe dei contenuti estetici della tradizione italiana? Questi forse saranno i nuovi interrogativi per ridefinire il design nei prossimi anni.