: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.
MAI VOLER CONOSCERE UN IDOLO DA VICINOMichael Moore fatto a pezzi dal documentario di due suoi (ex) fansIl Foglio - 18 aprile 2007Regola numero uno: sei hai un idolo, evita di conoscerlo da vicino. Se si ha l’occasione di poter approfondire la conoscenza di una persona che ammiriamo per il carattere, la competenza professionale o per il modo di pensare, la cosa principale da fare è scappare via rapidamente, il più lontano possibile. L’alta aspettativa richiama quasi sempre una sonora delusione.
La letteratura ci ha offerto negli anni un’ampia casistica, da Flaubert a Stephen King: il passionario, respinto dall’oggetto del suo desiderio, si può trasformare in un mastino schiumante di rabbia.
Ma lasciamo da parte la fiction e passiamo alla cronaca. E’ il caso di Rick Caine e Debbie Melnyk, marito e moglie di Toronto, registi di documentari con la comune passione per Michael Moore, l’uomo che ha rilanciato il genere trasformandolo in un blockbuster, in un culto da festival europeo, ma anche in uno straordinario strumento di propaganda politica (che poi si è rivelata controproducente per le elezioni presidenziali, ma questa è un’altra storia). Insomma, la coppia decide che il quarto film sarà proprio dedicato all’amato regista. La prima cosa da fare è, ovviamente, intervistarlo: Caine & Melnyk sanno già che non sarà impresa facile, ma Moore non potrà certo rifiutare l’offerta da parte di una coppia di colleghi liberal. Il regista però si nega. Due, tre, quattro volte. E lo fa anche in modo antipatico e scostante. Anzi, a pensarci bene, adotta le stesse tecniche utilizzate dai suoi intervistati: guardie del corpo facilmente irritabili, portavoce che chiedono le autorizzazioni a filmare, mani sulle telecamere, eccetera. Come da cliché.
Intervista o no, “Manufacturing Dissent” - il titolo del documentario - va comunque girato. Così i due, leggermente incazzati ma sempre sul pezzo, cominciano ad analizzare la particolare tecnica di Moore, quella cioè di trasformare il cinema documentaristico in cinema tout court. La cifra stilistica del regista è proprio quella di sbilanciare, spesso in modo azzardato, la cronaca drammatica in puro esercizio di stile da fiction, attraverso un sapiente uso del montaggio o del ralenti, travestendolo però da oggettivismo documentaristico. In particolare i due desiderano investigare sul suo lavoro di documentazione. Ed è qui che si scoprono gli altarini.
Il più evidente riguarda il suo documentario del 1989, “Roger and me”, incentrato sulla chiusura dello stabilimento General Motors a Flint (nel Michigan, la città di Moore) e che comportò il licenziamento di circa trentamila operai. Il film testimoniava i numerosi tentativi falliti di Moore nel cercare di intervistare Roger Smith, allora numero uno di GM, e che rappresentano il cuore narrativo del film. In realtà il regista premio Oscar riuscì per ben due volte a intervistare Smith: nel film originale tutto questo è stato omesso per non far decadere la sua tesi, ma il filmato dell’intervista viene ripreso e inserito in “Manufacturing dissent”.
Nel corso del film, i due registi si trasformano da discepoli a carnefici di Moore, smascherandone il mito, applicando la sua stessa tecnica e usandola contro di lui. La seconda parte del film si basa proprio sul programmatico sputtanamento delle abitudini di Moore, già dagli esordi come giornalista per il magazine progressive Mother Jones e The Flint Voice (che poi divenne The Michigan Voice), nel manipolare con eccessiva disinvoltura le vicende poi narrate in “Bowling for Colombine” e “Fahrenheit 9/11”.
Il film ha il titolo ed è costruito sulla falsariga di “Manufacturing consent” (La fabbrica del consenso), famoso saggio del 1988 scritto dal linguista Noam Chomsky e da Edward S Herman sui sistemi di propaganda per il controllo e la manipolazione dei media.
Poche settimane fa è stato presentato, con successo, al festival indipendente South by Southwest di Austin, Texas. Anche in questo caso Moore non ha rilasciato dichiarazioni in merito; del resto neppure Bush rilasciò dichiarazione in merito a Fahrenheit 9/11. Cambiando gli addendi il risultato non cambia, viene da dire.
“Manufacturing dissent” non è ancora stato acquistato da nessuna casa di distribuzione statunitense, (mentre si può già vedere in Canada e, prossimamente, in alcuni paesi europei) forse per non infastidire il prossimo attesissimo documentario di Michael Moore – “ Sicko” – dedicato alle contraddizioni del sistema sanitario degli Stati Uniti, un argomento che per molti americani è persino più spinoso dell’11 settembre.