: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.
CONSIGLI A LAPO - 28Sbatti la star isterica in tv, la nuova frontiera della pubblicità con testimonial
Il Foglio - 23 Novembre 2005Mentre in Italia la novità pubblicitaria del momento è il ritorno del pupazzo Carmencita della Lavazza o Giovanni Rana che va in casa delle famiglie portando i propri prodotti confezionati, in Inghilterra un mese fa i network televisivi trasmettevano questo spot (
qui in versione corta): una stanza anonima e grigia, un serie di sedie disposte in cerchio, una lavagnetta su un angolo, la tipica situazione da gruppo per la riabilitazione psicologica da qualche disturbo o dipendenza. Da un intervento si capisce che si parla di gestione della rabbia. Ad un certo punto si alza una bella donna nera vestita casual ma con stile. E’ Naomi Campbell. Non appena si presenta agli altri componenti del gruppo, ecco che compare alla sua destra un cartello con il prezzo del vestito che indossa. Naomi viene presa da un attacco d’ira ed inizia ad urlare e a sfasciare il cartello e, mentre la moderatrice del gruppo tenta di calmarla, compare in sovrimpressione il logo del marchio Cherokee, la linea di abbigliamento del grandi magazzini Tesco. Questo è solo il primo di una serie di spot che utilizza, con registro ironico, il celebre e scomodo carattere rissoso della celebrity Naomi per pubblicizzare un prodotto: in
altri episodi la Campbell, continuamente tempestata dai cartelli, dopo aver sfasciato hall di albergo e discoteche, viene arrestata.
L’uso del testimonial e la percezione del pubblico in questi ultimi anni sono mutati radicalmente, ma una buona parte delle aziende e dei pubblicitari non se ne sono ancora accorti. Molti addetti ai lavori - nella moda, specialmente - sono ancora legati al vecchio ruolo del testimonial visto come un garante da emulare, come una sponda di proiezione e d’identificazione per il consumatore che - nel frattempo, invece - si lascia sempre meno abbindolare da questa “scorciatoia psicologica”. Da una recente ricerca condotta on-line da Phatagnat e Key Comments tra i giovani di lingua inglese tra gli 11 e i 25 anni, è risultato che la presenza di una celebrità come testimonial è l’ultimo motivo che li spinge a comprare un prodotto o a scegliere un particolare brand, privilegiando nella decisione altri fattori chiave quali il prezzo, il nome del brand, il consiglio di un amico o l’eticità dell’azienda. La stessa ricerca fatta otto anni fa aveva rivelato un’influenza ben più alta del testimonial o della pubblicità vista in tv.
Insomma, il re è nudo e il consumatore è sicuramente più furbo e intelligente di quello che credono molti direttori marketing o amministratori delegati di qualche agenzia pubblicitaria: di certo nessuno ha mai creduto ad una parola della dichiarazione fatta da Stefan Persson, presidente della catena H&M, all’indomani delle famigerate foto di Kate Moss colta con le dita nel naso, sulle centinaia di lettere e telefonate ricevute dai clienti che non volevano la modella libertina come testimone dei loro vestiti preferiti.
Le aziende radicalmente più moderne, quelle che sono seriamente inserite nel tessuto e nel contesto sociale, trattano oggi il proprio brand come se si trattasse della biografia di una persona con il suo carattere e le sue incompatibilità. Di conseguenza anche il testimonial viene scelto secondo una logica di affinità e di sensibilità, e non soltanto per criteri estetici o di notorietà. L’uso del testimonial in pubblicità è da sempre una “Croce e Delizia” (come il titolo di un libro scritto da Viviana Musumeci e uscito per Ediforum lo scorso anno): delizia per i manager d’azienda che preferiscono scegliere una celebrity per "massaggiare il proprio ego" o emulare competitor e concorrenti; croce per i pubblicitari perché l’uso del testimonial non viene considerato particolarmente creativo. Con questa nuova concezione è invece possibile sperimentare e lavorare anche sui difetti e sul carattere del testimone, come ad esempio nello spot della Campbell, lasciando da parte la celebrità e puntando più sul suo modo di essere nella quotidianità e sulla personalità. In questa logica un personaggio così forte e complesso come la stessa Kate Moss può diventare una testimonial affascinante e rivoluzionaria per un’azienda o per una causa, e non soltanto un corpo o l’identificazione di un ideale estetico. E l’esempio vale per molti altri.
Da questo punto di vista le novità più interessanti si trovano nella cosiddetta “pubblicità no profit”: l’impegno delle star al servizio di cause sociali non è oggi più circoscritto ad alcuni sporadici esempi, ma sta diventando un comportamento diffuso. Sempre più lo star system si sta affermando come uno dei più straordinari mezzi di “evoluzione sociale”, promotore di vere e proprie azioni allargate di sensibilizzazione: esempio mirabile è stata la campagna One dell’associazione Make Poverty History, a favore dell’annullamento del debito verso i paesi dell’Africa, in cui celebrità come Al Pacino, Cameron Diaz o Brad Pitt si mostravano alla telecamera senza trucchi di scena: una campagna semplice ma così forte ed efficace da essere stata bandita dall’autorità inglese in quanto “mirava a cambiamenti importanti nelle politiche del governo e in quelle di altri governi occidentali” e quindi contro le regole della pubblicità in tv.